9 settembre 2012

Less is more

Ieri ho passato una fantastica giornata.

Ero dalle parti di Novi Ligure dove una mia amica possiede un piccolo, neanche poi tanto, appezzamento di terra. Una casa di quelle vecchio stile, di quelle belle, di quelle che ti riempiono il cuore di nostalgia perchè ragazzi come me non hanno avuto il piacere di vivere il tempo in cui, mal che andava, in casa si abitava in almeno 3 famiglie e il locale più isolato era la cucina dove cucinavano contemporaneamente 3 nonne, che erano poi nonne di tutti. 
Preparavano la cena che non meno di 27 persone, non appena fossero finiti i lavori giornalieri nei campi, avrebbero spazzato in un sol boccone. La fame si sa non conosce buone maniere.

Il piccolo podere era pieno di alberi da frutta. Tutto intorno si alternavano rovi, cespugli e piantine selvatiche di more e susine. Una piccolissima collina nascondeva parte del vigneto che suo padre coltivava con una gioia infinita. Difficile per me nascondere la stessa emozione mentre ascoltavo i racconti sentiti di quest'uomo e le sue storie di vino. E' tempo di vendemmia e la gioia di un contadino in questo periodo è palpabile.

La mia amica ci ha portato a spasso per la tenuta, faceva un pò la cicerona. Io mi sono attardato, catturato dalla natura e dal bisogno di isolarmi per poter apprezzare meglio quel paradiso.

Mi è venuta l'idea di raccogliere le more per farne della marmellata, Tanto nessuno le avrebbe colte, aveva detto prima la mia amica. Da solo con un piccolo contenitore, ai bordi della tenuta, ne prendevo una a una, delicatamente, per non farmi graffiare dai rovi. Ho raccolto prima quelle più vicine, più facili. Se ne stavano li ad aspettare qualcuno che le prendesse. Perché anche le more secondo me hanno una loro personalità. Ci sono quelle sfrontate, ti si offrono e sembrano felici di essere colte. Poi ci sono quelle timide, se ne stanno nascoste ma non troppo, si fanno scudo dei pochi rovi presenti, ma basta allungare una mano, con delicatezza, e si lasciano cadere. Infine ci sono le altezzose che se ne stanno arroccate lassù, protette da aculei pungenti come spade, si fanno vedere, belle e sfacciate, grandi, lucide e intoccabili. Sono riuscito a coglierne qualcuna, ma i segni che ho sulle braccia mi rimarranno a lungo.
Le altre che ho lasciato rimarranno a seccare sui rami o finiranno mangiate da qualche uccellino.
 
Ma ho voluto assaggiarle, tutte. Quelle facili, quelle timide e quelle altezzose. Alla fine però sono rimasto sorpreso. Avevano tutte quello stesso buon sapore di more selvatiche.

Tutto questo che cosa mi ha lasciato? Cosa ho capito da questa riflessione? C’è una morale?

Non lo so. Ma neanche mi interessa, io voglio solo che la marmellata venga buona.


























Finisce sempre in un'ammucchiata

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