30 novembre 2012

Il mio sistema di difesa

Oggi sorrido perchè ho razionalizzato che, malgrado tutte le delusioni amorose, tutte le amicizie finite miseramente, tutte le belle speranze tornate a dormire mentre io mi ero già alzato da un pezzo, malgrado tutto insomma, quello che tengo stretto a mente, dopo che il tempo ha livellato picchi di sentimenti troppo estremi così come il mare con gli spigoli di sassi troppo appuntiti, nella maggior parte dei casi sono solo belle parole.

E’ venerdì, il mondo oggi è migliore.





23 novembre 2012

La lezione di matematica





La lezione era cominciata già da un quarto d’ora ma Federica non aveva ascoltato nulla di quello che stava dicendo la professoressa di analisi matematica del politecnico.
“Carlo, cos’è che sta spiegando oggi?”.
“La discontinuità nelle funzioni, Chicca, dovresti stare attenta, l’esame di settimana prossima parla solo di questa roba qui”.
“Sembrerebbe interessante questa lezione sul rompere la monotonia, invidio la forza di queste funzioni”.
“Non credo si tratti di questo comunque”.
“Allora vedi di stare attento e imparare a fare gli esercizi così poi me li passi da copiare”.
Considerando la media degli studenti seduti in quell’aula del politecnico, non ci sarebbe da sorprendersi per le parole uscite dalla bocca della ragazza. Ad eccezione delle prime 4 file e di qualche ritardatario ben intenzionato che ha trovato posto solamente nelle retrovie infatti, il resto della classe è attento si, ma chi ad importunare la vicina carina con richieste di chiarimenti di formule e passaggi matematici mai seguiti, chi ad organizzare l’imminente weekend a base alcolica sperduto su quella baita in montagna trovata a basso prezzo su internet, chi a sfogliare il giornale universitario documentandosi sulle procedure da seguire per poter presentare la domanda di Erasmus. Ma per chi conosce Federica questa frase rappresenta la massima espressione di ribellione a cui ci ha abituati fin d’ora.
Carlo la stava fissando a occhi spalancati. “Non credo a quello che stai dicendo, tu stai diventando matta e io non sarò lì a difenderti quando tua madre ti ucciderà, sappilo”.
Estrasse degli evidenziatori dall’astuccio trivellato di spille raffiguranti le bandiere di quasi tutte le nazioni. Aveva cominciato a giocherellarci, allineandoli alla sinistra del foglio ancora bianco steso davanti a lei. L’azzurro con il giallo, sotto questi l’arancione con il verde. Dentro ci vedeva un paesaggio con l’azzurro del cielo e il sole splendente, un tulipano arancione dal lungo stelo verde brillante. “L’olanda è piena di tulipani”, aveva persino sussurrato.
Con il pensiero era tornata a qualche mese prima, quando aveva dovuto scegliere a che università iscriversi, o meglio, quando aveva deciso di seguire le indicazioni della madre su che strada intraprendere.
“Dopo il classico, per dare continuità al tuo processo di formazione, la scelta giusta sarebbe quella di orientarsi verso un’università a indirizzo umanistico, ma noi siamo dotate anche di buon senso, e mai come in questo momento di forte crisi economica ne abbiamo bisogno, gli ingegneri sono quelli che una volta laureati, trovano più facilmente la sistemazione nel mondo del lavoro e questo ci suggerisce di iscriverci al politecnico, a indirizzo gestionale, sarà più difficile certo, ma affronteremo le difficoltà insieme, come abbiamo sempre fatto, già ti vedo amore mio a capo di una multinazionale, sei d’accordo, vero?”.
“Certo madre, come potrei non esserlo, pensi proprio a tutto, sei così, così”.
“Superlativa?”, la figlia aveva assentito con la testa mentre deglutiva, con la saliva, l’opprimente che l’avrebbe meglio qualificata. La madre si era avvicinata avvolgendole il viso con le mani e ricordandole, per l’ennesima volta, di come fosse la cosa giusta per lei prendere una laurea, “E già che ci siamo lo facciamo con il massimo dei voti. Io ho dovuto rinunciare alla carriera per colpa di tuo padre che mi ha messo incinta di te troppo presto, Dio solo sa quanto ho sofferto per questa cosa. Ma tu hai la possibilità di diventare un personaggio di spicco e noi questa volta non falliremo”.
Il suo compagno di banco aveva scosso la testa in segno di resa.
“Sarà meglio che segua la lezione, altrimenti ci bocciano entrambi”. Non riusciva a varcare le colonne d’Ercole della sua mente.
Già al tempo del liceo di matematica Federica non ci aveva mai capito molto, ma le era sempre andata bene perché studiava tutto a memoria, o meglio, studiavano, lei e la madre. Ripetevano le cose fino a che non erano state perfettamente memorizzate. E come le ripeteva a casa, le ripeteva in classe e i 10 sul registro dei professori erano margherite sui prati nel mese di maggio.
Solo una volta aveva preso 6, ma la colpa era di un certo Andrea, un piccoletto combina guai della sua classe che le aveva lanciato con l’involucro della biro, a mo’ di cerbottana, delle palline di carta masticata tra i capelli. Le aveva fatto perdere tempo, oltre che pazienza, durante un compito in classe, sempre di matematica, e così non era riuscita a risolvere un’equazione. Come uno di quei cantanti di una qualche rock-band giovanile che suona per la prima volta alla festa del paese e si mette a urlare con tutto il fiato che ha in corpo come se stesse cantando, senza microfono né amplificatori né casse, davanti a centomila persone, costretto ad arrivare con la sua voce, e solo quella, fino all’ultimo spettatore laggiù in fondo dato che il biglietto, sfortunato lui, lo ha pagato come tutti gli altri ed ha perciò diritto allo stesso trattamento di quelli davanti, con la stessa potenza canora la madre ripassò Federica aggiungendo, oltre alla strigliata, l’onere di svolgere per ben dieci volte la stessa equazione lasciata a metà nel compito in classe. Come se non bastasse, era arrivata a chiamare la maestra di danza dicendole che la figlia aveva la broncopolmonite e che non sarebbe andata a lezione per l’intera settimana, almeno. “Te la faccio vedere io la danza, a te e a tuo padre che insiste nel volertici mandare, tu devi solo studiare”. Non che avesse pianto fiumi di lacrime per la questione della danza, a lei neanche piaceva. Era stato il padre che aveva insistito affinché facesse qualcosa, una qualsiasi attività fisica per distrarle la mente, che le servisse per intrattenere dei rapporti sociali con i coetanei al di fuori della scuola. Era uno strazio per lui vederla sempre china sui libri, ma non poteva dire nulla in casa per via di quel debito con la moglie che ancora lo perseguitava.
Si era diplomata con 100 e lode per la gioia della madre. Avremmo fatto un peccato d’altronde, se avessimo pensato diversamente solo per un piccolo incidente di percorso. Dal maggio di quello stesso anno tuttavia, qualche crepa aveva cominciato ad affiorare nel rapporto con la madre, e se prima erano solo interne e ben cementate dall’arrendevolezza della figlia, ora che è novembre e cominciano le prime gelate notturne, l’acqua piano piano vi ci entra e gelando le allarga sempre più. A far bene attenzione, in un momento di silenzio potremmo anche sentire, tendendo l’orecchio, lo scricchiolio del loro emergere alla superficie.
La ragazza aveva trovato un metodo per scaricare la tensione in eccesso, ossia agendo nel modo in cui avrebbe fatto arrabbiare la madre, ma senza che lei lo sapesse. Tanto per intenderci, se andassimo indietro di qualche anno e capitassimo in cucina nel momento in cui Federica stava prendendo dalla credenza uno di quei biscotti ripieni di mela e fosse arrivata all’improvviso la madre, che già all’epoca non la perdeva di vista nemmeno per un minuto, non sarebbe sicuramente accaduto, come invece capitava di solito, che avrebbe rimesso a posto i biscotti tanto agognati chiedendo poi scusa alla madre, ma se ne sarebbe nascosto uno in tasca, anche se poi scusa l’avrebbe detto in egual modo. Malgrado questa sua valvola di sfogo la pressione esercitata della madre ebbe il sopravvento.
“Un giorno o l’altro finirò per scoppiare”, aveva detto la ragazza, “E chissà allora quanti cocci ci saranno da raccogliere”, salvo poi mettersi la mano alla bocca sperando che quelle parole uscite senza controllo in un momento di guerra interiore non avessero raggiunto le orecchie della madre.
Quella tra l’altro aveva cominciato a fiutare un certo cambiamento nel comportamento della figlia. All’inizio aveva pensato ad un innamoramento, il primo, avvenuto nonostante tutti i loro sforzi e ammonimenti, prima governativi perché la legge sovrana non consente certe cose a minorenni, poi apostolici perché il buon Dio che tutto vede e tutto sa non perdona chi pratica quelle attività fuori dal matrimonio, infine per una semplice questione di pulizia, per tenerla lontana il più possibile dagli stupidi ragazzetti che pensano soltanto a cacciare le loro luride mani insolenti in posti che devono rimanere immacolati almeno per altri 18 anni. Si sa come i genitori siano sensibili a certi argomenti. Aveva cominciato a prestare un’attenzione ancora maggiore a questa già martoriata creatura e come per la maggior parte delle bestiole che, sempre più strette nella morsa del predatore, sono capaci di gesti estremi e impensabili, così lei ebbe l’ardire di pensare l’impensabile ossia andarsene da casa per un anno intero a visitare il mondo, dopo la maturità sia chiaro che arrivati oramai a questo punto sarebbe stato da stupidi non concludere gli studi.
Aveva pensato a tutto, al giro che avrebbe fatto, ai posti che avrebbe visitato, al periodo migliore per soggiornare in quello e quell’altro luogo, ai ristoranti dove avrebbe voluto lavorare, anche da spela patate per raggranellare qualche spicciolo e non pesare troppo sulle spalle della famiglia. Pensava che se avesse fatto gli occhi dolci a suo padre, lui non avrebbe resistito e l’avrebbe lasciata partire dandole magari un po’ di soldi. Sua madre non gliel’avrebbe perdonato ma in un anno le cose cambiano e anche di molto. La sua mancanza sarebbe stata un incentivo al perdono nel momento in cui, l’anno seguente, sarebbe rincasata e si sarebbe iscritta a ingegneria gestionale, laureandosi poi con il massimo dei voti. Dopotutto era maggiorenne e nessuno poteva impedirle di partire. Avrebbero viaggiato lei e quella sua amica dalla chioma dorata, lunga appena per poterci avvolgere il collo, con capelli che paiono riccioli di fuoco esplosi in ogni direzione da uno di quei falò a ferragosto sulla spiaggia, una girovaga per la scuola vestita da hippie degli anni ’60, ribelle, spensierata, esorbitante in leggerezza. L’opposto carattere le aveva calamitate l’una contro l’altra. Si chiamavano in continuazione anche dopo che erano tornate a casa. Non potevano infatti sbrigare a scuola tutte le faccende organizzative del viaggio perché frequentavano classi diverse. Una volta erano arrivate a chiamarsi ben 15 volte, dalle 2 di pomeriggio, orario in cui Federica rincasava da scuola, alle 22.30 di sera quando giungeva l’ora di preparare lo zaino per il giorno successivo. Il gatto, l’unico membro della famiglia in grado di muoversi nel buio senza disturbare il leggerissimo sonno della madre, aveva sentito con il suo udito sopraffino certi discorsi persino alle 3 di notte, fatti al riparo di un lenzuolo. Si sa che l’animale non ha il dono della parola e quindi sarebbe stato comunque impossibilitato a spifferare tutti ai genitori, ma anche se avesse potuto, non l’avrebbe mai fatto perché stava dalla parte della ragazza, forse per tutte le volte che l’aveva consolata con le sue fusa o per via di tutte le maledizioni che le tirava invece quella donnaccia ogni volta che preparava le alici in padella, 5 a testa, 15 in tutto e il micio trovava sempre il modo di rubarne almeno una, spaiando così le porzioni. E se è vero che la curiosità uccide il gatto, povero lui, poco ci è mancato che anche la madre non facesse la stessa fine. In una di queste telefonate non era riuscita a trattenere l’impulso di alzare l’altra cornetta e, passato indenne il momentaneo cedimento muscolare per quello che aveva appena udito andò, ora giustamente, fuori di senno. Si fece raccontare tutto e Federica fu messa a regime di rigore, con il coprifuoco esteso a tutta la giornata, a tutta la settimana, a tutto il mese fino a che non fossero finiti gli esami di maturità e forse prolungato a tutta l’estate, con tanti saluti al viaggio organizzato. Se fosse avvenuto in un qualsiasi momento passato della sua vita, la sola organizzazione mentale del viaggio se la sarebbe fatta bastare, ma non ora, non in questo momento. Alla sua anima ora divenuta irrequieta il solo pensiero non bastava più.
“La discontinuità è una proprietà molto importante in una funzione, bisogna solo vederla come un’opportunità e non come un problema. In futuro, per chi di voi diventerà ingegnere dei materiali, vi servirà per calcolare, per esempio, il punto di rottura di un materiale e intervenire su di esso prima che succeda. La lezione per oggi è finita, mi raccomando preparatevi bene per l’esame di settimana prossima”.
Sentì un brivido lungo la schiena. Radunò le proprie cose, mise l’olanda dentro l’astuccio e senza neanche salutare il suo compagno di banco, corse a casa. “Mamma, devo dirti una cosa”.


16 novembre 2012

La cameretta




“Ti ho tradito, ma non volevo. Ti ho tradito, ma non lo rivedrò mai più. No. Ho baciato un altro ma amo te. No no no”. Con il telefono in mano stava cercando tra le chiamate effettuate il numero di Manuela. Era il primo della lista.
“Pronto”,
“Manu sono io, come si fa a dire al tuo fidanzato che lo hai tradito?”
“Non si fa. Ilenia, ancora con questa storia? Ne abbiamo già parlato, ascoltami anche questa volta, sono la tua migliore amica, ti fidi di me?”, e senza aspettare risposta. “Ormai la cazzata l’hai fatta. Si parla di un bacio, che vuoi che sia? Ora basta che non lo senti più. Tu abiti a Roma, lui a Milano, tu hai vent’anni, lui trenta. Pensi davvero che questa storia abbia un futuro?”.
“Forse si”.
“Forse no, Ilenia per favore, ragiona, tutto è contro di voi, le vostre vite sono totalmente diverse, siete così lontani. Avrai bisogno di lui e non sarà al tuo fianco. Dimenticalo, pensa ad Alessandro, non dirgli niente di questa storia e mettici una pietra sopra. Non voglio vederti soffrire”.
Nell’appoggiare il telefono sul comodino aveva urtato il burrocacao che era caduto sul pavimento ma non aveva fatto rumore alcuno perché la caduta era stata attutita dal pigiama spalmato per terra. In quel preciso istante si era accorta di tutti quei vestiti sparsi per la stanza. Devo darmi una mossa, aveva pensato. In un paio d’ore di lavoro aveva rimesso a nuovo quella cameretta. Si era poi sdraiata sul letto e, forse a causa della stanchezza per la rassettata o per via della tensione che si stava dissolvendo, si era addormentata senza altri pensieri che non fossero il suo nuovo amore. Al risveglio si sentiva rigenerata, convinta che la distanza fisica non fosse poi un problema per due persone che si amano. Un sorriso albeggiava sul suo volto, aveva deciso di dire tutto al fidanzato. Forse lui l’avrebbe perdonata oppure no, ma stava male al pensiero di quello che gli stava tacendo e alla situazione che si era creata, così gli aveva dato appuntamento al porticciolo al laghetto vicino casa. Stavano lì, uno di fronte all’altra, facendo attenzione a non incrociare gli sguardi. Alessandro aveva capito subito come sarebbe andata a finire.
“Fa parte della natura umana tenere dei piccoli segreti su noi stessi.” Aveva esordito Ilenia scura in volto, “Lo facciamo tutti, mi tingo i capelli, indosso i push-up, ma quando rivelare la verità potrebbe distruggere tutto ciò che sei, tu cosa faresti? Scapperesti o la inseguiresti? Ora sono molto confusa su noi due, e anche se Manuela mi ha suggerito di non parlartene e dimenticare tutto, io non ce la faccio più e vorrei dirti
“Ilenia” la interruppe lui, “ti chiedo perdono, è stato solo un errore, un grosso errore, giuro che con Manuela è tutto finito”.
Ora suo padre è in pensione e sta sempre a casa. In compenso Ilenia si è trasferita a Milano. Ha una donna delle pulizie che le rassetta la casa, tranne la sua cameretta. A quella ci pensa lei.

15 novembre 2012

L'equilibrista



L'altro giorno c'era un gruppo di ragazzi al parchetto sotto casa mia. Erano 5 in tutto. La giornata era decente per essere novembre e così sono andato a fare due passi. Procedendo verso di loro ho notato che uno di questi stava camminando su di un filo sospeso nel vuoto. Certo, diversamente dalla ragazza nella foto, quello sotto casa mia stava sospeso su di una fune adatta ad un rimorchiatore, ancorata a due alberi quindi a non più di 30 cm di altezza. Allora incuriosito mi sono avvicinato al gruppetto ed ho osservato come agiscono gli equilibristi. Fanno piccoli lenti passi cercando sempre il massimo equilibrio, non procedono in avanti se non sono più che sicuri di rimanerci su quella fune, allargano bene le braccia per bilanciarsi meglio, o forse perchè convinti di poter volare. Anche se impauriti tuttavia non chiudono mai gli occhi ed hanno lo sguardo fisso all'altro capo della fune. L'equilibrista era concentratissimo e gli amici sotto a tifare per lui. Mi sono unito anche io. "Dai che ce la fai, sei un SuperEroe cazzo, non mollare". Poi ad un certo punto qualcosa cambia, perde l'equilibrio, tratteniamo il fiato. Per ritrovare stabilità allarga ancora più le mani, riporta il piede che stava avanzando sulla fune, retrocedendo e genuflettendo le ginocchia, accovacciandosi quasi a toccare terra. Riesce a rimanerci su quella dannata fune. Boato degli amici.
Mi viene da pensare che tutti dovremmo avere un parchetto sotto casa con almeno due grossi alberi e una fune da rimorchio tesa tra i due. E degli amici con qualche cannetta di scorta.
E comunque si può benissimo vivere senza equilibrio, se c'è Maria.





Le ultime tre foto provengono dalla selezione sul tema "L'equilibrio" di Eugenio Burloni

Thanks!!! 

13 novembre 2012

La stazione dei treni

La vede sulla banchina della stazione mentre aspetta il treno che nel frattempo sta per giungere. Accelera il passo, verso lei che si scosta leggermente dalla folla. Lo ha visto e cerca il modo di farsi notare non sapendo che lui l’ha già addocchiata. Lo sapeva. Si scontrano facendo finta di non essersi visti. Stupidi. Si salutano. Lui continua a sudare il tempo di due stazioni, non per la corsa precedente. Parlano, ridono, si scambiano sguardi che sono dichiarazioni d’amore. Lui è innamorato. Lei è innamorata. Lui sta da solo. Lei è fidanzata. Con un altro.
Mi torna alla mente una frase: Davvero pensi che tutti quelli che si amano siano insieme?