29 ottobre 2012

Chicca e la Seggiolina_s1e1


Vado a spasso senza fretta
ho con me la mia casetta

 
Continua a ripetere all’infinito questa filastrocca, se così si possono chiamare due strofe in rima cantata. Chicca è un’avventuriera. Se pensate che il suo nomignolo sia solo il diminutivo di Federica vi sbagliate di grosso. Il destino che le ha attribuito, per mezzo dei suoi genitori, questo nome, lo ha scelto perché ha un sottile senso dell’umorismo e neanche troppo celato.

In casa hanno ancora una di quelle macchinette che triturano i semi tostati del caffè per ottenerne la miscela. Attirata un po’ dal rumore che fa quando è in funzione e un po’ dal magnifico aroma che si sprigiona ad ogni utilizzo, a 3 anni aveva preso la sedia che stava sotto al tavolo della cucina e, dopo averla spostata vicino al mobile su cui era posizionato il macinino, ci era salita sopra. Allungandosi come più non poteva, era riuscita ad afferrare con la sua manina un chicco di caffè, probabilmente caduto distrattamente alla madre mentre la riempiva. Era così curiosa di sapere che sapore aveva quel piccolo semino tostato che se lo era messo subito in bocca. Un saporaccio.
Lo aveva sputato fuori schifata. Non contenta era andata a riprenderlo. Non aveva ancora finito con lui. Come tutti i bambini voleva solo conoscere il mondo con ogni mezzo donatogli dalla natura. Abbiamo a disposizione 5 sensi per farlo e lei li voleva usare tutti. Così dopo aver sentito il rumore che fa mentre viene macinato e dopo averlo assaggiato, lo aveva tastato con le dita, rigirandolo per osservarne la forma. Infine lo aveva avvicinato al naso per odorarlo. Forse perché appena ciucciato, non emanava alcun odore. Così lo aveva inspirato forte e più forte ancora. Le esili ditina che lo impugnavano lo avevano mollato proprio nell’istante di massima inspirazione. Avvenne in questo modo che se lo cacciò ben bene dentro al nasino. Il risultato è stato una notte al pronto soccorso e un bel soprannome che avrebbe ricordato ogni volta alla bimba dove può portare il troppo curiosare. Se per i genitori doveva servire da monito ad essere meno intraprendente in certe situazioni, per Chicca era l’esatto opposto, cioè ricordarsi sempre di osare per scoprire l’essenza delle cose.
Perché, come ripete sempre, Mi ha fatto male, ma ora io conosco l’odore del chicco di caffè.
Certo, ti è entrato proprio dentro il cervello, era la replica bonaria e divertita della madre. Ed era vero, quel chicco le era salito talmente su per il naso che, una volta estratto, quel burlone del dottore glielo aveva messo davanti dicendo per scherzo: Il chicco sono riuscito a toglierlo principessa, ma l’odore non l’ho proprio trovarlo, dev’essersi nascosto da qualche parte nella tua testolina.
I genitori di Chicca avevano sorriso, più per lo scampato pericolo che per la battuta del dottore.

Ai dottori Dio non deve aver donato tanto umorismo. Credo che l’abbia terminato tutto con i politici.
Parlando per ipotesi, se malauguratamente l’effetto dell’anestetico dovesse svanire proprio mentre siete sotto i ferri in sala operatoria e sentiste, per sbaglio, i discorsi che fanno questi strani personaggi vestiti di bianco mentre usano il bisturi sui pazienti, capireste che l’umorismo non è una virtù che gli si addice.

Dopo quella volta del chicco di caffè la piccola aveva scoperto un’anima avventuriera, come se davvero il suo aroma le fosse entrato dentro e, ricco di caffeina, le avesse svegliato la voglia di girare il mondo.
Ma 5 anni sono pochi per andare  a zonzo. I suoi genitori le avevano proibito di avventurarsi da sola lontano da casa, che era pieno di pericoli là fuori.
Non mi allontanerò mai da casa, mammina, rispondeva lei. Si era fatta costruire da suo padre una seggiolina tutta di legno. Ci aveva disegnato sopra una lumachina, dei panni stesi ad asciugare, una sfilza di casette abitate dai suoi amici e tanto tanto cielo.
Non mi allontanerò mai da casa.



 
Aveva risolto il problema. Se lei non si poteva allontanare da casa allora la casa l’avrebbe seguita ovunque lei andasse.
Quella seggiolina era la sua nuova casa. Ora, ovunque va, ci va con la sua seggiolina. Ovunque va, si sente a casa. Passa intere giornate seduta sopra. Fa discorsi con i suoi vicini, stende i panni e rassetta casa, ma per la maggior parte del tempo guarda il cielo e sogna. Forse è per questo che ha sempre il sorriso sul suo volto e lo sguardo perso chissà dove.Qualche volta prende la sua “casa” e va in spiaggia. 
Vado a spasso senza fretta
ho con me la mia casetta

Oggi ad esempio si è seduta a fissare il mare. Immagine dell’infinito. Le fa venire sempre grandi pensieri.
Si è portata il rotolo di cartone duro che la mamma le ha dato dopo aver finito i fogli di carta assorbente che ci erano avvolti attorno e che lei usa come binocolo.
Ci ha infilato dentro l’occhio e dopo un lungo sospiro ha esclamato: Quanta acqua!





23 ottobre 2012

La vera storia della TORTA PAESANA

Sono monzese e dalle mie parti in questo periodo si fa la Torta Paesana. Ieri sera fuori dalla stazione dei treni di Lissone, che stà ad un tiro di schioppo dalla più rinomata provincia brianzola, una signora distribuiva gratuitamente delle porzioni di torta. Incuriosito sono andato in biblioteca per cercare di trovare le origini di questa ricetta, diventata famosa e conosciuta in tutto il mondo. Spulciando vecchi titoli di giornali, papiri di 2000 anni e rocce preistoriche sono riuscito a ricostruire la VERA STORIA della TORTA PAESANA.



C'era una volta, tanto ma tanto tempo fa, un uomo che viveva uccidendo animali e mangiando la carne cruda. Soffriva di verme solitario e non riusciva mai ad ingrassare di un etto. Una volta un fulmine colpì la casa sull'albero di suo figlio e da quel giorno imparò a controllare il fuoco. Aveva cominciato a cuocere la carne prima di mangiarla. Il mondo divenne un pò migliore.

La tenia era scomparsa dal suo stomaco. Aveva cominciato a mettere chili su chili e la pancetta stava spuntando dal suo prima scheletrico ventre. Faceva un sacco di movimento per smaltire il grasso in eccesso. Era sempre a spasso per la foresta, ma un giorno inciampò in un ramo e cadendo si sbucciò il ginocchio. Pianse fino a non avere più lacrime, poi non avendone più smise di piangere e inventò la ruota. Il mondo divenne un pò migliore.

Con una ruota sola si sa, non si va da nessuna parte. L'uomo l'aveva appesa ad un ramo. Il figlio aveva cominciato a giocarci e la faceva girare e girare e girare e girare. E girava la ruota, girava e girava. Ma gira che ti gira, avevano cominciato a girargli anche altre cose. Non salutava più i vicini, rispondeva male alla moglie, tirava ceffoni al figlio. La madre vedendolo così nervoso aveva fatto una torta con dentro quel poco che aveva e cioè pane vecchio e raffermo bagnato nel latte a cui poi ci aveva aggiunto cacao, uvette, pinoli, amaretti dolci, da non confondere con i dolcetti amari. Voleva rabbonirlo un pò. Ma siccome la ruota girava tantissimo, tantissima ne dovette fare per combattere quell'animo burbero. Ne aveva fatta talmente tanta che era persino avanzata e così l'aveva data a tutto il paese. La torta. Quella torta prese il nome di TORTA PAESANA. E il mondo divenne un pò migliore.