La lezione era cominciata già da un
quarto d’ora ma Federica non aveva ascoltato nulla di quello che stava dicendo
la professoressa di analisi matematica del politecnico.
“Carlo, cos’è che sta spiegando
oggi?”.
“La discontinuità nelle funzioni, Chicca,
dovresti stare attenta, l’esame di settimana prossima parla solo di questa roba
qui”.
“Sembrerebbe interessante questa
lezione sul rompere la monotonia, invidio la forza di queste funzioni”.
“Non credo si tratti di questo
comunque”.
“Allora vedi di stare attento e
imparare a fare gli esercizi così poi me li passi da copiare”.
Considerando la media degli studenti
seduti in quell’aula del politecnico, non ci sarebbe da sorprendersi per le
parole uscite dalla bocca della ragazza. Ad eccezione delle prime 4 file e di
qualche ritardatario ben intenzionato che ha trovato posto solamente nelle
retrovie infatti, il resto della classe è attento si, ma chi ad importunare la
vicina carina con richieste di chiarimenti di formule e passaggi matematici mai
seguiti, chi ad organizzare l’imminente weekend a base alcolica sperduto su
quella baita in montagna trovata a basso prezzo su internet, chi a sfogliare il
giornale universitario documentandosi sulle procedure da seguire per poter
presentare la domanda di Erasmus. Ma per chi conosce Federica questa frase
rappresenta la massima espressione di ribellione a cui ci ha abituati fin d’ora.
Carlo la stava fissando a occhi
spalancati. “Non credo a quello che stai dicendo, tu stai diventando matta e io
non sarò lì a difenderti quando tua madre ti ucciderà, sappilo”.
Estrasse degli evidenziatori dall’astuccio
trivellato di spille raffiguranti le bandiere di quasi tutte le nazioni. Aveva
cominciato a giocherellarci, allineandoli alla sinistra del foglio ancora bianco
steso davanti a lei. L’azzurro con il giallo, sotto questi l’arancione con il
verde. Dentro ci vedeva un paesaggio con l’azzurro del cielo e il sole
splendente, un tulipano arancione dal lungo stelo verde brillante. “L’olanda è
piena di tulipani”, aveva persino sussurrato.
Con il pensiero era tornata a
qualche mese prima, quando aveva dovuto scegliere a che università iscriversi,
o meglio, quando aveva deciso di seguire le indicazioni della madre su che
strada intraprendere.
“Dopo il classico, per dare
continuità al tuo processo di formazione, la scelta giusta sarebbe quella di
orientarsi verso un’università a indirizzo umanistico, ma noi siamo dotate
anche di buon senso, e mai come in questo momento di forte crisi economica ne
abbiamo bisogno, gli ingegneri sono quelli che una volta laureati, trovano più
facilmente la sistemazione nel mondo del lavoro e questo ci suggerisce di
iscriverci al politecnico, a indirizzo gestionale, sarà più difficile certo, ma
affronteremo le difficoltà insieme, come abbiamo sempre fatto, già ti vedo
amore mio a capo di una multinazionale, sei d’accordo, vero?”.
“Certo madre, come potrei non esserlo,
pensi proprio a tutto, sei così, così”.
“Superlativa?”, la figlia aveva assentito
con la testa mentre deglutiva, con la saliva, l’opprimente che l’avrebbe meglio
qualificata. La madre si era avvicinata avvolgendole il viso con le mani e ricordandole,
per l’ennesima volta, di come fosse la cosa giusta per lei prendere una laurea,
“E già che ci siamo lo facciamo con il massimo dei voti. Io ho dovuto
rinunciare alla carriera per colpa di tuo padre che mi ha messo incinta di te troppo
presto, Dio solo sa quanto ho sofferto per questa cosa. Ma tu hai la
possibilità di diventare un personaggio di spicco e noi questa volta non
falliremo”.
Il suo compagno di banco aveva scosso
la testa in segno di resa.
“Sarà meglio che segua la lezione,
altrimenti ci bocciano entrambi”. Non riusciva a varcare le colonne d’Ercole della
sua mente.
Già al tempo del liceo di matematica
Federica non ci aveva mai capito molto, ma le era sempre andata bene perché
studiava tutto a memoria, o meglio, studiavano, lei e la madre. Ripetevano le
cose fino a che non erano state perfettamente memorizzate. E come le ripeteva a
casa, le ripeteva in classe e i 10 sul registro dei professori erano margherite
sui prati nel mese di maggio.
Solo una volta aveva preso 6, ma la
colpa era di un certo Andrea, un piccoletto combina guai della sua classe che
le aveva lanciato con l’involucro della biro, a mo’ di cerbottana, delle
palline di carta masticata tra i capelli. Le aveva fatto perdere tempo, oltre
che pazienza, durante un compito in classe, sempre di matematica, e così non
era riuscita a risolvere un’equazione. Come uno di quei cantanti di una qualche
rock-band giovanile che suona per la prima volta alla festa del paese e si
mette a urlare con tutto il fiato che ha in corpo come se stesse cantando,
senza microfono né amplificatori né casse, davanti a centomila persone,
costretto ad arrivare con la sua voce, e solo quella, fino all’ultimo
spettatore laggiù in fondo dato che il biglietto, sfortunato lui, lo ha pagato
come tutti gli altri ed ha perciò diritto allo stesso trattamento di quelli
davanti, con la stessa potenza canora la madre ripassò Federica aggiungendo,
oltre alla strigliata, l’onere di svolgere per ben dieci volte la stessa equazione
lasciata a metà nel compito in classe. Come se non bastasse, era arrivata a
chiamare la maestra di danza dicendole che la figlia aveva la broncopolmonite e
che non sarebbe andata a lezione per l’intera settimana, almeno. “Te la faccio
vedere io la danza, a te e a tuo padre che insiste nel volertici mandare, tu
devi solo studiare”. Non che avesse pianto fiumi di lacrime per la questione
della danza, a lei neanche piaceva. Era stato il padre che aveva insistito affinché
facesse qualcosa, una qualsiasi attività fisica per distrarle la mente, che le
servisse per intrattenere dei rapporti sociali con i coetanei al di fuori della
scuola. Era uno strazio per lui vederla sempre china sui libri, ma non poteva
dire nulla in casa per via di quel debito con la moglie che ancora lo
perseguitava.
Si era diplomata con 100 e lode per
la gioia della madre. Avremmo fatto un peccato d’altronde, se avessimo pensato
diversamente solo per un piccolo incidente di percorso. Dal maggio di quello
stesso anno tuttavia, qualche crepa aveva cominciato ad affiorare nel rapporto
con la madre, e se prima erano solo interne e ben cementate dall’arrendevolezza
della figlia, ora che è novembre e cominciano le prime gelate notturne, l’acqua
piano piano vi ci entra e gelando le allarga sempre più. A far bene attenzione,
in un momento di silenzio potremmo anche sentire, tendendo l’orecchio, lo
scricchiolio del loro emergere alla superficie.
La ragazza aveva trovato un metodo
per scaricare la tensione in eccesso, ossia agendo nel modo in cui avrebbe fatto
arrabbiare la madre, ma senza che lei lo sapesse. Tanto per intenderci, se
andassimo indietro di qualche anno e capitassimo in cucina nel momento in cui
Federica stava prendendo dalla credenza uno di quei biscotti ripieni di mela e fosse
arrivata all’improvviso la madre, che già all’epoca non la perdeva di vista
nemmeno per un minuto, non sarebbe sicuramente accaduto, come invece capitava
di solito, che avrebbe rimesso a posto i biscotti tanto agognati chiedendo poi
scusa alla madre, ma se ne sarebbe nascosto uno in tasca, anche se poi scusa
l’avrebbe detto in egual modo. Malgrado questa sua valvola di sfogo la
pressione esercitata della madre ebbe il sopravvento.
“Un giorno o l’altro finirò per scoppiare”,
aveva detto la ragazza, “E chissà allora quanti cocci ci saranno da raccogliere”,
salvo poi mettersi la mano alla bocca sperando che quelle parole uscite senza
controllo in un momento di guerra interiore non avessero raggiunto le orecchie
della madre.
Quella tra l’altro aveva cominciato
a fiutare un certo cambiamento nel comportamento della figlia. All’inizio aveva
pensato ad un innamoramento, il primo, avvenuto nonostante tutti i loro sforzi
e ammonimenti, prima governativi perché la legge sovrana non consente certe
cose a minorenni, poi apostolici perché il buon Dio che tutto vede e tutto sa
non perdona chi pratica quelle attività fuori dal matrimonio, infine per una
semplice questione di pulizia, per tenerla lontana il più possibile dagli
stupidi ragazzetti che pensano soltanto a cacciare le loro luride mani insolenti
in posti che devono rimanere immacolati almeno per altri 18 anni. Si sa come i
genitori siano sensibili a certi argomenti. Aveva cominciato a prestare
un’attenzione ancora maggiore a questa già martoriata creatura e come per la
maggior parte delle bestiole che, sempre più strette nella morsa del predatore,
sono capaci di gesti estremi e impensabili, così lei ebbe l’ardire di pensare
l’impensabile ossia andarsene da casa per un anno intero a visitare il mondo,
dopo la maturità sia chiaro che arrivati oramai a questo punto sarebbe stato da
stupidi non concludere gli studi.
Aveva pensato a tutto, al giro che
avrebbe fatto, ai posti che avrebbe visitato, al periodo migliore per
soggiornare in quello e quell’altro luogo, ai ristoranti dove avrebbe voluto
lavorare, anche da spela patate per raggranellare qualche spicciolo e non
pesare troppo sulle spalle della famiglia. Pensava che se avesse fatto gli
occhi dolci a suo padre, lui non avrebbe resistito e l’avrebbe lasciata partire
dandole magari un po’ di soldi. Sua madre non gliel’avrebbe perdonato ma in un
anno le cose cambiano e anche di molto. La sua mancanza sarebbe stata un
incentivo al perdono nel momento in cui, l’anno seguente, sarebbe rincasata e
si sarebbe iscritta a ingegneria gestionale, laureandosi poi con il massimo dei
voti. Dopotutto era maggiorenne e nessuno poteva impedirle di partire.
Avrebbero viaggiato lei e quella sua amica dalla chioma dorata, lunga appena
per poterci avvolgere il collo, con capelli che paiono riccioli di fuoco esplosi
in ogni direzione da uno di quei falò a ferragosto sulla spiaggia, una girovaga
per la scuola vestita da hippie degli anni ’60, ribelle, spensierata, esorbitante
in leggerezza. L’opposto carattere le aveva calamitate l’una contro l’altra. Si
chiamavano in continuazione anche dopo che erano tornate a casa. Non potevano
infatti sbrigare a scuola tutte le faccende organizzative del viaggio perché
frequentavano classi diverse. Una volta erano arrivate a chiamarsi ben 15 volte,
dalle 2 di pomeriggio, orario in cui Federica rincasava da scuola, alle 22.30
di sera quando giungeva l’ora di preparare lo zaino per il giorno successivo. Il
gatto, l’unico membro della famiglia in grado di muoversi nel buio senza
disturbare il leggerissimo sonno della madre, aveva sentito con il suo udito
sopraffino certi discorsi persino alle 3 di notte, fatti al riparo di un
lenzuolo. Si sa che l’animale non ha il dono della parola e quindi sarebbe
stato comunque impossibilitato a spifferare tutti ai genitori, ma anche se
avesse potuto, non l’avrebbe mai fatto perché stava dalla parte della ragazza,
forse per tutte le volte che l’aveva consolata con le sue fusa o per via di
tutte le maledizioni che le tirava invece quella donnaccia ogni volta che
preparava le alici in padella, 5 a testa, 15 in tutto e il micio trovava sempre
il modo di rubarne almeno una, spaiando così le porzioni. E se è vero che la
curiosità uccide il gatto, povero lui, poco ci è mancato che anche la madre non
facesse la stessa fine. In una di queste telefonate non era riuscita a
trattenere l’impulso di alzare l’altra cornetta e, passato indenne il
momentaneo cedimento muscolare per quello che aveva appena udito andò, ora
giustamente, fuori di senno. Si fece raccontare tutto e Federica fu messa a
regime di rigore, con il coprifuoco esteso a tutta la giornata, a tutta la
settimana, a tutto il mese fino a che non fossero finiti gli esami di maturità
e forse prolungato a tutta l’estate, con tanti saluti al viaggio organizzato. Se
fosse avvenuto in un qualsiasi momento passato della sua vita, la sola
organizzazione mentale del viaggio se la sarebbe fatta bastare, ma non ora, non
in questo momento. Alla sua anima ora divenuta irrequieta il solo pensiero non
bastava più.
“La discontinuità è una proprietà
molto importante in una funzione, bisogna solo vederla come un’opportunità e
non come un problema. In futuro, per chi di voi diventerà ingegnere dei
materiali, vi servirà per calcolare, per esempio, il punto di rottura di un
materiale e intervenire su di esso prima che succeda. La lezione per oggi è
finita, mi raccomando preparatevi bene per l’esame di settimana prossima”.
Sentì un brivido lungo la schiena.
Radunò le proprie cose, mise l’olanda dentro l’astuccio e senza neanche
salutare il suo compagno di banco, corse a casa. “Mamma, devo dirti una cosa”.
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